giovedì 28 aprile 2011

In fondo ad ogni leggenda c'è sempre una base di verità storica

Sekhmet 
Sekhmet era la divinità dalla testa di leone del pantheon egizio. Il più imponente monumento "leonino" in Egitto è la sfinge di Gizah. Essa mostra la testa del faraone Kephren stranamente sproporzionata rispetto al corpo, quasi fosse stata aggiunta successivamente al posto della testa leonina originaria. Gli Arabi si riferiscono alla Sfinge come “padre del terrore”. L'antico mito egizio di Sekhmet è il seguente: a causa del fatto che l’umanità aveva volto le spalle alla via del dio del sole Ra, considerata “troppo antiquata”, la fiera dea aveva sprigionato un incendio devastante. Il genocidio di massa da lei iniziato avrebbe portato all’estinzione dell’umanità, se non fosse stato per l’intervento di Ra in persona. Egli inviò una mistura intossicante, che coprì la Terra. Bevendo questa mistura, Sekhmet si ubriacò e cadde addormentata e l'umanità fu salva.
Spogliando il mito di Sekhmet dai suoi elementi fantasiosi e riducendolo all'essenziale razionale, si può interpretare il fuoco violento di Sekhmet come rappresentazione di una terribile conflagrazione, che devastò l’Egitto, e la mistura intossicante come una successiva inondazione; un periodo di caos e distruzione, che interessò l'Egitto alla fine dell’ultima Era glaciale. Sekhmet, dunque, potrebbe essere semplicemente un’allusione allegorica all’Età del Leone (10.970 - 8.810 a.C.), inclusa nel ciclo precessionale degli equinozi. Il moto di precessione è quello che si verifica quando l'asse di rotazione di un corpo ruota, a sua volta, intorno a un asse che lo interseca sotto un angolo costante. La Terra possiede un moto di precessione: il suo asse di rotazione ruota lentamente (con un ciclo di 25.800 anni) intorno alla perpendicolare al piano della sua orbita, rispetto alla quale è inclinato di circa 23°27'. Questo fenomeno è dovuto all'attrazione del Sole e della Luna, nonché al fatto che la sua forma non è esattamente sferica. Tra gli effetti della precessione vi è quello di spostare lentamente i punti equinoziali lungo la volta celeste. Questo fenomeno fa sì che la linea degli equinozi (cioè il segmento congiungente i due punti dell'orbita terrestre in cui si verificano gli equinozi) ruoti. Tale rotazione avviene in senso antiorario, ossia in senso contrario a quello della rivoluzione terrestre. E' come se la precessione andasse "incontro" alla Terra lungo la sua orbita. Mentre l'oscillazione dell'asse terrestre ruota lentamente in maniera circolare, finisce per puntare su tutte le dodici costellazioni zodiacali, oltrepassandole una dopo l'altra, ogni 2.160 anni circa.
È interessante notare che, astronomicamente e matematicamente parlando, ci vogliono 2.160 anni di osservazione ininterrotta del cielo notturno per acquisire la consapevolezza dell'esistenza di questa oscillazione dell'asse terrestre. Nonostante ciò, la maggior parte delle civiltà antiche (Sumeri, Egizi, Indù, Tibetani, Maya, ecc.) era consapevole della precessione equinoziale e di questi dodici "segni" zodiacali. 

Poseidone 
Presso la civiltà micenea, descritta da Omero nell'Iliade e nell'Odissea, Poseidone era considerato il più importante tra gli dei ed era già identificato come "Scuotitore della terra" (E-NE-SI-DA-O-NE). Chi ha avuto l'occasione di sentire il rumore che una mandria di cavalli produce percuotendo la terra con gli zoccoli sa a cosa ci si riferisce... Oltre a ciò, anche i terremoti erano ritenuti manifestazione di Poseidone. Tuttavia, nella cultura micenea, pur così dipendente dal mare, non è stata ritrovata alcuna prova di un legame tra Poseidone e il mare stesso. La leggenda narra, inoltre, che quando Zeus ebbe sconfitto il padre Kronos e lo ebbe costretto a risputare i figli che aveva divorato, Poseidone e Hades, dovette competere con i suoi fratelli per il dominio sul mondo. In particolare Poseidone, che era il primogenito, aspirava al comando supremo sui fratelli. Si dovette ricorrere ad un sorteggio per sanare la situazione che rischiava di degenerare: a Zeus toccò il cielo, a Hades il sottosuolo e a Poseidone il mare. Da quel momento anche i maremoti furono ritenuti manifestazione di Poseidone. Evidentemente, perciò, il culto del dio Poseidone era nato in precedenza ed indipendentemente da quello che sarebbe diventato il suo regno. Considerando la lontananza dal mare delle zone in cui abitavano gli antichi Indoeuropei, alcuni studiosi ritengono che Poseidone originariamente nasca come un dio-cavallo e che, solo in seguito, sia stato assimilato alle divinità acquatiche orientali, quando i Greci mutarono la loro fonte di sostentamento principale passando dall'allevamento degli animali terrestri alla pesca. 

Fetonte
Un ragazzo di nome Fetonte, per vedere se Febo, dio del Sole, fosse veramente suo padre, lo pregò di lasciargli guidare il suo carro. A causa della sua inesperienza, ne perse il controllo. I cavalli s’imbizzarrirono e corsero all'impazzata per la volta celeste: prima, salirono troppo in alto bruciando un tratto del cielo, che divenne la Via Lattea; quindi, scesero troppo vicino alla terra devastando la Libia, che divenne un deserto. Zeus intervenne per salvare la Terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano, nell'odierna Po, in provincia di Rovigo. Zeus fece, poi, straripare tutti i fiumi annegando il genere umano ad eccezione di  Deucalione e Pirra. 
È stato fatto notare dagli astronomi Victor Clube e Bill Napier che, se ovviamente depurata dei relativi elementi mitologici, la storia di Fetonte può essere letta come un genuino resoconto dell'effetto di un impatto di un meteorite o di residui di una cometa. Effettivamente, a Tenoumer, nell’attuale Mauritania, esiste un cratere d’impatto meteoritico del diametro di 1,9 chilometri, risalente a 21.400 (± 9.700 anni) fa. Fu proprio verso il sec. XIII a.C. che la Libia conobbe il culmine di una grande fase di desertificazione. Un’iscrizione egiziana del tempio di Karnak precisa: “I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere”. Usando testimonianze archeologiche e la letteratura classica, C. A. Winters ha spiegato come genti di pelle scura, provenendo dall’antico Sahara arrivarono sia in India (Dravidi), sia in Mesopotamia (Sumeri), sia in Grecia. Lo studioso indiano Iravatham Mahadevan conferma tale ipotesi poiché pensa che la scrittura dell'Indo sia legata a quelle sumerica e dravidica. Secondo Winters, le genti nere proto-sahariane sarebbero giunte in Grecia in due ondate: la prima fu quella dei Garamanti (chiamati Carii dai Greci indoeuropei), un popolo di lingua mandinga, che dal Fezzan (Libia) si spostarono anche a Sud, verso il Niger; la seconda fu quella degli Egiziani, dei Fenici e degli africani, che sono stati registrati nella storia della Grecia come Pelasgi. Per Winters, furono proprio i Garamanti a fondare le città greche della Tracia, della Creta minoica e dell’Attica, tra cui Atene.

La fonte della giovinezza.
Tra le più antiche lingue libico-berbere c'era quella parlata dagli abitanti delle isole Canarie: i Guanci. Al tempo della loro scoperta da parte degli Spagnoli, essi mantenevano lucido il ricordo ancestrale della perdita della loro terra d'origine nel corso di un terribile cataclisma marino. Perciò, alcuni studiosi ipotizzano che i Guanci fossero i resti di una popolazione precedente ad un cataclisma avvenuto nell'oceano Atlantico. Gli studiosi indicano la somiglianza tra la cultura Guancia (o proto-Guancia) e quelle egizia e maya nel loro utilizzo di piramidi ed in altre testimonianze archeologiche dei legami sociali tra le culture lontane attraverso viaggi marinari d'esplorazione e commercio. Il famoso esploratore Thor Heyerdahl, che ha scoperto le piramidi delle isole Canarie e che ha istituito un organo accademico per studiare questi fenomeni, ha sostenuto che le piramidi potrebbero essere resti di esploratori che hanno navigato l'Atlantico in tempi antichi e che possono, eventualmente, avete stabilito un legame con le civiltà pre-colombiane delle Americhe. La prova migliore di ciò è l'esistenza di un certo numero di mummie Guanci originali, che sono esposte al pubblico nel museo nazionale di quel gruppo di isole. Tutti gli storici concordano nel riferire che gli indigeni canari erano belli. Erano umani del tipo Cro-Magnon, generalmente dolicocefali, equo-opzionali, con capelli biondo-ramati o rossi, con i maschi alti più di 1,80 metri e le donne alte quasi 1,80 metri, di aspetto simile a molti europei del Nord attuali, ma generalmente dotati di una maggiore e più robusta statura. Erano anche robusti e coraggiosi, con elevate capacità mentali. Le donne erano signore molto belle e gli Spagnoli le sceglievano, spesso, come loro donne. La convinzione che i Guanci fossero un popolo favorito dalla grande durata di vita divenne popolare, al tempo della conquista spagnola. "Trovare una sorgente della giovinezza è stato uno dei motivi che hanno portato Colombo a guardare oltre le isole Canarie". (I primi abitanti delle Isole CanarieAlf Bajocco, 1965).

Tartesso.
Tartesso era un'antica città-stato protostorica dell'Iberia meridionale, di ubicazione incerta, probabilmente in Andalusia nei pressi della foce del Guadalquivir e adesso, forse, sommersa dal mare. I più antichi testi indigeni conosciuti del territorio iberico (VII-VI sec. a.C.) sono scritti in tartessico, una varietà dell'alfabeto iberico (in realtà una scrittura semi-sillabica). Al medesimo sistema di scrittura appartengono le monete trovate a Salacia, una piccola località situata in Portogallo, tra i fiumi Tago e Guadiana, monete che risalgono al 200 a.C. circa. Nel 1992, José Antonio Correa è riuscito a identificare dei nomi di persona, che avrebbero dei corrispondenti nelle lingue indoeuropee della penisola iberica, soprattutto il Celtiberico: turaaio (Turaius), poti (Boutius), tala (Talaus), tirtos (Trita e Tritus). Correa ha anche identificato un verbo con desinenza -nt- (arenti), come già keeni/keenti, ed un possibile locativo plurale in -bo, dall'indoeuropeo *-bho, che si troverebbe nell'espressione logabo niirabo, dove Correa ritiene di intravedere una citazione del dio celtico Lug al plurale (caso già noto in altri contesti linguistici dell'antica Hispania). Secondo Correa, tutto questo, sebbene non sia schiacciante, potrebbe essere indizio di una correlazione genetica tra il tartessico e le lingue celtiche. Tartesso è probabilmente menzionata nell'Antico Testamento: "Tarshish commerciava con te [Tiro] per le tue ricchezze di ogni specie, scambiando le tue mercanzie con argento, ferro, stagno e piombo..." (Ez 27, 12). In effetti, con questo nome i Greci chiamavano l'estremo Occidente, dal quale provenivano i metalli, in particolare l'argento e lo stagno. Strabone (I secolo a.C.) riferisce:  «I Turdetani [probabilmente i Tartessiani] sono i più civilizzati tra gli Iberici: conoscono la scrittura, possiedono libri antichi ed anche poemi e leggi in versi, che essi considerano antichi di settemila anni...» (Geografia III, 2-8). Dulcis in fundo, l'archeologo tedesco Rainer Kuehne individua in Tartesso una colonia di Atlantide o, magari, Atlantide stessa. 

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