sabato 30 aprile 2011

Valore e funzione del calcio

Quelli che hanno la mia età ricorderanno la fatidica sera di domenica 11 luglio 1982. Alle ore 21.48, si concludeva la partitissima tra le squadre di calcio della nazionale italiana e tedesca allo stadio "Santiago Bernabeu" di Madrid. L'Italia batteva la Germania per 3 a 1: reti di Rossi al 57', di Tardelli al 69', di Altobelli all'81' e di Breitner all'83'. La squadra italiana era per la terza volta campione del mondo di calcio e si portava ai vertici delle statistiche insieme con la squadra brasiliana. Paolo Rossi, con sei goals, risultava il capocannoniere del "Mundial". Il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, presente alla finalissima, dichiarava che quello era il giorno più bello della sua presidenza.
In Italia esplodeva un delirio di massa: piazze, strade, vicoli, città intere erano inondati da folle ebbre di gioia, quali mai si erano viste dalla fine della seconda guerra mondiale. L'Italia, tutta l'Italia, impazziva d'entusiasmo per tutta la notte, assumendo la nazionale vittoriosa, diretta da Bearzot, a simbolo di rinascita e di successo sul piano internazionale.
Mentre sul significato di quella notte di delirio rimando i lettori alle riflessioni di grandi giornalisti come Corrado Augias (Panorama, 26 luglio 1982), a me va di riflettere un po' sul valore e sulla funzione del calcio, oggi.
Il calcio, lo sport attualmente più popolare, è inanzitutto uno spettacolo di massa, industrialmente gestito, come dimostrano le cifre degli incassi e gli ingaggi dei grandi giocatori.
Ha una funzione implicitamente ideologica, in quanto serve a distrarre le masse dalle contraddizioni e dalle difficoltà del contesto di vita, a integrarle docilmente nel sistema. In questo senso ha una funzione politica.
Il calcio si fonda su cifre squisitamente tecnologiche e meccanicistiche, nell'accentuare il professionismo e nell'adeguare i giocatori a pedine e a macchine perfette da far funzionare secondo calcoli rigorosi.
Infine, ed è questo l'aspetto più interessante secondo me, il calcio è un rito, come spiega l'antropologoDesmond Morris ne "La tribù del calcio". Il calcio rievoca fatti oscuri delle origini della nostra specie, sedimentati nella memoria inconscia collettiva dell'umanità. "Apparentemente", afferma Morris, "i giocatori delle due squadre sono nemici; in realtà, invece, non tentano di distruggersi a vicenda, ma solo di passare attraverso la difesa avversaria per compiere l'uccisione simbolica, calciando in porta". Così, inconsapevolmente, una partita di calcio surroga una partita di caccia.
Morris, attentissimo osservatore di analogie (vedi i rapporti brillantemente studiati ne "La scimmia nuda" tra l'uomo e i Primati), spiega che la folla dello stadio porta in sè valori ed atteggiamenti delle tribù primitive. Dunque, il calcio è il calcio, un gioco cioè, ma anche un simbolo e veicolo di altro...

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