Negli ambienti di ricerca di tutto il mondo circola una celebre battuta, che dice: “Un farmaco è una sostanza che, iniettata in una cavia, produce un articolo scientifico” (The Wit of Medicine). Essa è sufficientemente cinica da fotografare la realtà. Rimane, però, pur sempre una battuta ad effetto e, dunque, fotografa solo PARTE della realtà. Secondo me, è giusto che i ricercatori debbano essere ben pagati, perché il loro lavoro richiede competenze professionali d'alto livello (a meno che non si pensi che gli stipendi debbano essere dati non in base alle competenze, ma alle necessità; ma questo è un altro discorso...). Tuttavia, nel lavoro di ricerca, a differenza che nel commercio, non si ha come unico scopo il guadagno: in questo, come in altri lavori “creativi”, dall'orefice al pittore, dal ciabattino all'insegnante, c'è anche una componente di gratificazione ideale, se vogliamo, che deriva dal produrre qualcosa: sia che si tratti di una merce, sia di un servizio. Non dimentichiamolo, quando parliamo di ricercatori!
Nel mio caso specifico, quando ho lavorato per tre anni come Dottore di ricerca al Polo biologico del CNR di Roma, per la precisione all'Istituto di Medicina sperimentale, ho studiato il fenomeno della "morte cellulare programmata", in particolare quella delle cellule dell'encefalo.
Poiché non sono un altro doktor Mengele, non ho utilizzato esseri umani (possibilmente ebrei) e, poiché sono sensibile, non ho utilizzato animali vivi (possibilmente scimmie). Visti questi miei grossi “limiti”, per gli esperimenti ho dovuto ripiegare su due tipi di modelli animali: 1) “in vivo”, cioè moscerini della frutta, allevati in bottiglie di vetro e nutriti con un mix di polenta Valsugana, lievito di birra e l'antibiotico nipagina, 2) “in vitro”, cioè cellule nervose cerebellari di ratto, coltivate in capsule di Petri e nutrite con una soluzione ad hoc.
A questo punto, vi invito ad una riflessione. Se parliamo di risparmiare vite animali, faccio notare che nel protocollo n° 1 sono stati “sacrificati” (questo è il termine politically correct che si usa nei laboratori di ricerca) decine di migliaia di individui: una strage! Oppure no? Se ci chiediamo: quale percentuale rappresenta un tale numero, rispetto alla popolazione mondiale di moscerini della frutta? La risposta è: decisamente irrilevante! Dato, infatti, il tasso riproduttivo della specie in questione, essa non sarebbe minacciata d'estinzione (crimine gravissimo dal punto di vista etico) nemmeno se si conducessero esperimenti simili al mio, per altri cento anni in tutti i laboratori della Terra.
E poi, parliamoci chiaro: quanti di noi avvertono un sentimento di pietà quando schiacciamo una fastidiosa mosca che ci tormenta di continuo, nelle umide giornate primaverili? Nessuno! Siccome i moscerini della frutta sono, in fondo, piccole mosche e, dunque, non ci fanno avvertire un sentimento di pietà quando li uccidiamo, allora ne possiamo “sacrificare” a cuor leggero quanti ne vogliamo. Oppure, eticamente parlando, il criterio della fastidiosità non è valido? E' forse valido quello della somiglianza all'uomo? Uccidere un moscerino della frutta e una scimmia è sul medesimo livello di gravità? Ci sono organismi che hanno più diritto all'esistenza rispetto ad altri? Non so come la pensate voi cristiani o musulmani o ebrei o atei, ma a me Buddha ha insegnato di no! Ma a quel tempo non sapevo ancora pressoché niente della filosofia buddista.
Ma c'è di più. Nel protocollo n° 2 si prevedeva, per ogni esperimento, il “sacrificio” di circa 8-10 rattini di otto giorni di vita postnatale. Questo perché, fino a prova contraria, le cellule nervose non si riproducono e, dunque, le loro culture devono essere sempre “primarie”. Per i miei studi sono stati necessari otto esperimenti successivi; fatevi un calcolo per sapere quanti rattini ho dovuto sacrificare in tre anni...
Il “sacrificio” in nome della ricerca scientifica veniva condotto mediante decapitazione con una forbice dalle lame lunghe circa 25 centimetri (!). Questa tecnica serviva ad assicurarmi che la morte dei rattini fosse sia immediata, sia indolore. Effettivamente, che fosse immediata era evidente dal fatto che ogni movimento, compreso il battito cardiaco, s'interrompeva entro 1-2 secondi; ma che fosse indolore non poteva essere altrettanto evidente, ovviamente.
Su quest'ultimo punto, però, volevo essere assolutamente sicuro, perché mai avrei volontariamente inferto sofferenza ad altri animali. Ricercando nella letteratura scientifica internazionale ho trovato numerosi articoli, che dimostravano come l'encefalo dei mammiferi sia, di per sé, insensibile al dolore. Esso, infatti, NON contiene assolutamente recettori per percepirlo, ma solo cellule nervose capaci di tradurre alcune percezioni, raccolte in periferia, in sensazioni di dolore. Interrompendo di colpo il collegamento tra encefalo e midollo spinale, di fatto s'impediva la trasmissione di ogni stimolo raccolto dalle radici sensoriali dei nervi spinali. Gli stimoli raccolti dai nervi cranici, invece, continuavano ad arrivare all'encefalo, portando le sensazioni della testa; ma questa era intatta e, dunque, non potevano partire da nessun suo punto sensazioni di dolore verso l'encefalo. Al massimo, una sensazione di leggera frescura al collo...
Alla fine, ne è derivato un bell'articolo scientifico pubblicato su una rivista specializzata statunitense di medio “impact factor” (Brain research, ed. Elsevier, NY). Confesso che la cosa mi ha fatto molto piacere, come quando uno studente vede riconosciuto il suo impegno da una bella pagella o quando un lavoratore riceve un aumento di stipendio o un avanzamento di carriera per il suo rendimento efficiente.
Ma c'è dell'altro. Ritornando alla gratificazione intellettuale (o spirituale se volete) di cui sopra, ho avuto l'onore che i miei risultati confluissero in un progetto di ricerca più vasto ed a lungo termine: quello d'inventare farmaci che contrastino malattie degenerative del sistema nervoso centrale, come: il morbo d'Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica. Inoltre, sono stati utilizzati da alcuni colleghi statunitensi per investigare i possibili rapporti tra malattie mentali e farmaci d'abuso (droghe). Scusate se è poco!
Per quanto riguarda il resto, rimango fermamente convinto che non sia giusto servirsi degli animali per nutrirsi. Infatti, a parte le mie convinzioni etiche, è un dato di fatto che discendiamo da primati che, al massimo, integravano saltuariamente la loro dieta vegetariana con pasti a base di insetti (termiti, formiche, nutrienti larve di coleotteri...) molto ricchi di proteine. In effetti, non abbiamo né i denti né l'intestino adatti a digerire cadaveri di altri animali, terrestri ed acquatici, mentre ospitiamo una flora batterica sufficiente a metabolizzare i vegetali. Non come fanno gli erbivori veri e propri, che fanno digerire letteralmente la cellulosa ai loro ospiti batterici intestinali. Il nostro intestino ospita batteri diversi che non arrivano a digerire la cellulosa, ma comunque ci forniscono le preziose vitamine del gruppo B. Le nostre cellule intestinali, inoltre, sono perfettamente in grado d'estrarre dai vegetali (ma anche dal latte e dalle uova non fecondate di uccelli e pesci) i venti alfa-amminoacidi, i monosaccaridi, i nucleotidi e gli acidi grassi, che ci occorrono per vivere sani e forti, senza appesantirci con troppi trigliceridi e colesterolo.
Sono pure contrario a uccidere animali per vestirci (baco da seta, pellicce, pelletterie varie), poiché al loro posto si possono utilizzare benissimo sia le fibre tessili vegetali (cotone, canapa, lino, iuta, ramiè, sisal, cocco, ginestra, ibisco, manila, paglia, bambù, caucciù), sia quelle animali ottenute senza ucciderli (diverse varietà di lana di pecora, angora, cachemire, cammello, mohair, alpaca, lama, vigogna, bisonte, quivut), sia quelle artificiali (rayon, modal, cupro, acetato, triacetato, lyocell), sia quelle sintetiche (acrilico, modacrilico, nylon, poliestere, polietilene, polipropilene, poliuretano, clorovinile, teflon, kevlar), sia quelle minerali (carbonio, basalto, vetro). Non va bene, invece, la seta, perché la sua produzione prevede l'uccisione della falena, ancora allo stadio di crisalide, tramite bollitura dei bozzoli...
Infine, sono contrario all'uso degli animali sia per testare i cosmetici sia, ovviamente, per inventare armi biologiche.
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